John Mueller afferma che contenuti identici inseriti in formati differenti non siano contenuti duplicati.
Per rendere l'affermazione più comprensibile dunque, basta dire che il testo di un blog riportato in un video o in un podcast non generano contenuti duplicati.
Secondo John Mueller si può riutilizzare un testo all'interno di un video senza che Google consideri i due contenuti identici.
Google non esegue un check sulle parole presente dei video per poi metterle in correlazione con i contenuti delle SERP, anche perché oltretutto uno stesso contenuto in due formati differenti attira un pubblico differente.
L'esempio classico è quello del video inserito all'interno di un articolo di un blog che viene preferito alla lettura del testo.
Nella definizione di contenuto duplicato di Google non esiste la possibilità che formati differenti compaiano insieme come duplicazione.
Di conseguenza la diffusione su canali differenti viene per certi versi consigliata, indirettamente se non direttamente.
Un altro aspetto interessante desunto dalle risposte di Mueller è che dei contenuti duplicati viene comunque scelta una versione, di conseguenza anche se formati differenti venissero considerati duplicazioni, una delle versioni verrebbe comunque scelta.
In poche parole un contenuto duplicato non nasconde tutti i risultati, ma ne rende visibile uno, l'unico che verrà mostrato.
Da questo punto di vista John Mueller è molto chiaro: non c'è da preoccuparsi sull'esclusione effettuabile da parte di Google sui contenuti duplicati.
Se anche lo fosse Google ne sceglierebbe uno da mostrare.
Non bisogna pensare ad un metodo univoco per la qualificazione dei contenuti, come abbiamo detto precedentemente, perché ogni contenuto ha delle proprie specifiche e punta un'esperienza differenti.
Oltretutto anche eventuali social (Youtube, podcast) che possono sembrare simili forniscono supporto ad utenti differenti. Proprio per questo il contenuto duplicato tra diversi formati sembra solo uno spauracchio fondato su nessuna evidenza.